Per lungo tempo vedendo alberi sui terrazzi di palazzi ho pensato fossero incongrui.
Innaturali.
Non avrebbero mai potuto diventare bosco, diventare foresta; quale futuro potevano dare ai loro “figli”?
Il loro futuro era vivere fin quando non li avrebbero tolti perché magari, contro ogni logica, troppo cresciuti o perché il condominio se ne era lamentato. Al più, ci potevano stare fin tanto dura il palazzo.
Tutto considerato una vita effimera, quasi inutile da vivere.
Ne parlavo con Luana tempo fa e cercavo di spiegarle che erano come dire, sprecati.
Non so dire quale filo logico nelle parole delle sue considerazioni mi hanno fatto rivedere questo pensiero.
In fondo può essere una vita piena anche quella.
Ho pensato alle formiche che magari scorrono su e giù per il loro tronco come tante volte le ho viste fare, fin giù, “a terra”.
In fondo, ho pensato, per quelle formiche quello è tutto il loro mondo, non sanno che ce n’è uno sconfinato fuori da quel terrazzo, da quel palazzo.
Ma il pensiero è andato oltre. Capita talvolta anche a noi di considerare i nostri piccoli contorni come fossero tutto il mondo e spesso ci “abbasta” anche.
Ricordo una volta mio nonno mi disse che suo padre (o più probabilmente suo nonno) non si era mai mosso dal paese in cui era nato e poi morto, tutta una vita vissuta attorno ad un paese, Cogoleto. La cosa mi angosciava, aveva un che di soffocante.
Ancora oggi percepisco quel senso di costrizione, quasi un non avere vie di fuga, le volte che visito un’isola. Mi è capitato anche in Sardegna e di certo non è un’isoletta; eppure anche lì mi sento limitato; una volta di nuovo sul continente, “a terra”, mi sento libero di poter fare delle scelte.
E non mi sento circoscritto benché il continente europeo, a ben vedere, è pur sempre un’isola…
Quanto misura “abbastanza spazio”?
Ebbene, adesso penso invece che, dopotutto, anche noi siamo alberi cresciuti su tetti di grattacieli; effimera la nostra vita così come lo è la loro, se anche a molti di noi è dato di sapere che esiste tutto un mondo oltre, alla fin fine o perché costretti o per abitudine o per scelta mettiamo le radici in un vaso e lì viviamo. Quanto deve essere grande il nostro orizzonte perché non ci si senta su un’isola?
Chissà, forse un domani un qualcuno con un senso di costrizione (moooolto) più forte del mio si sentirà limitato di poter vivere solo sulla Terra o magari anche solo nella nostra galassia; si sentirà su un’isola perché magari non potrà girare per l’intero universo. Ma per andare poi dove, mi chiedo?
to be continued… Molte le contro-riflessioni e gli spunti che ‘sti benedetti alberi hanno nella mia mente generato, come corsi secondari di un piccolo torrente. Secondari ma che ti ispirano ad esplorarli, chissà a quali strani e bellissimi anfratti ti porteranno.
Le foto sono state scattate a New York nel settembre 2010. Solo un caso, lì avevo la macchina fotografica, da buon turista; solo che a parte i monumenti prendo scatti anche di cose che so poi, con calma, mi aiuteranno a fissare sfuggenti pensieri.
P.s. Ho ripreso questo post da un altro mio blog e gli ho messo la data del giorno nel quale l’ho postato allora. Mi sa che permarrà nello stato di “to be continued” ma mi garbava metterlo anche qui.